Si sapeva da tempo, o meglio, noi lo sapevamo e l’avevamo anche annunciato che la terza ondata non era una questione di se, ma solo di quando. E quel quando è ora.
Perché era così semplice prevederlo?
Perché dalla prima ondata nulla è cambiato.
Sono caduti nel vuoto appelli molto più autorevoli del nostro che chiedevano di passare da un sistema di divieti ad uno di regole.
Organizzare un servizio di trasporto dedicato per gli studenti che potessero essere tracciati, alleggerire il trasporto pubblico locale con navette per i pendolari. Attuare un piano che consentisse alle persone di usufruire di bar, ristoranti, teatri ecc. in sicurezza, col distanziamento per evitare l’effetto ressa dato dal “tutto chiuso, tutto aperto“.
Si è puntato tutto sul vaccino (alias Superman) che sconfiggesse il famigerato cattivo (il virus) e salvasse gli italiani come ogni presidente del consiglio che si è succeduto negli ultimi 20 anni.
Anche questa volta non andrà meglio. I vaccini non ci sono e se ci sono, altri sono più bravi di noi (e della candida UE) ad accaparrarsi le dosi.
Ora che si fa? Si chiude! Ad iniziare dalle scuole. Un anno fa avevamo l’alibi che eravamo i primi ad aver sbattuto contro il virus. E ora che scusa abbiamo?
Il problema è sempre lo stesso, ovvero (non) avere le capacità di andare oltre gli annunci, arte nella quale non abbiamo eguali al mondo. Chiudere tutto è tutto quello che sappiamo fare e a giudicare dalla proporzione morti/abitanti non è nemmeno efficace, ma tant’è.
La narrazione sui vaccini ormai è come quella sulle auto elettriche che salveranno il pianeta: irreversibile.
Mettiamoci l’anima in pace, torneremo a vivere quando il 70% di noi sarà vaccinato, fino al prossimo virus o alla prossima variante, si intende.
Francesco Artusa